Vendite opache: si fa ma non si dice

La vendita online dei servizi di viaggio, ad esempio posti letto e biglietti aerei, ha radicalmente cambiato il modo con cui le aziende di servizi raggiungono i clienti. Le iniziali ritrosie rispetto alle vendite online sono state subito superate in quanto le imprese hanno potuto sviluppare nuovi canali per arrivare ai clienti, consentendo maggiori opportunità di segmentazione. Continua a leggere “Vendite opache: si fa ma non si dice”

C’è relazione tra innovazione e internazionalizzazione?

Tra i fattori che caratterizzano le imprese di successo, comprese quelle vitivinicole, i principali stanno diventando l’innovazione e l’internazionalizzazione. Lo stesso rapporto annuale Mediobanca segnala puntualmente come le imprese che crescono e raggiungono le migliori performance economiche sono caratterizzate da un crescente processo di internazionalizzazione (spesso grazie ad un saggio utilizzo dei fondi “OCM Vino” della UE). In molti casi si tratta di aziende che sviluppano un processo di innovazione (di prodotto, di processo, di cultura manageriale…) sull’onda dell’entrata in nuovi mercati.

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Pescare nelle nicchie

Non sono un pescatore ma, abitando vicino al mare, non ho potuto non fare caso ad alcuni distributori automatici di esche ed altro materiale per chi va a pesca.

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Stappature estive e conseguenti riflessioni

Riprendo dopo ormai un anno a scrivere sul blog. Non che mancassero gli argomenti, ma il tempo e la freschezza mentale per affrontarli. E poi ci sono Twitter e Facebook ove si è sicuramente più immediati.
E riprendo partendo da un argomento che ho trattato poche volte, ossia alcune sensazioni ed alcune riflessioni che seguono lo stappare ed il condividere bottiglie di vino con amici.

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La prima riguarda le bottiglie “prestigiose” e l’uso che spesso i consumatori ne fanno. In molte occasioni mi è capitato di condividere alcuni “grandi vini” o presunti tali. Allo stesso modo mi è stato raccontato di degustazioni in cui il celeberrimo vino X era stato “sconfitto” da altri, magari molto meno costosi. Il maggiore influsso, a mio vedere, che Robert Parker ha avuto sui suoi lettori (intesi come consumatori finali, non produttori) è quello di aver semplificato molto l’approccio al vino, qualcuno dice “democratizzato”, ovvero tutti possono, utilizzando una scala numerica, mettere a confronto bottiglie. Anzi, se ne sentono quasi in dovere. Eppure alcuni vini (non tutti!!) sono diventati famosi e costosi indipendentemente dal punteggio e fanno della regolarità (da decenni) il loro punto di forza, non cercano l’exploit fine a se stesso.

In realtà, il modo giusto per stappare vini “prestigiosi” dovrebbe prevedere, a mio parere, che queste bottiglie siano al centro dell’attenzione, se no si perde un po’ di quell’aurea mistica che tali bottiglie portano dietro. Non si tratta solo di rispetto per i produttori, che deve esserci sempre, che si tratti di un vino prodotto da una cantina sociale o da un famoso Chateau. Si tratta di godere appieno del lato estetico di una bottiglia prestigiosa, quel senso di appagamento e di autorealizzazione di se’ che sta in cima alla Piramide di Maslow. Una semplice degustazione alla cieca di tanti vini spesso fa trascurare questo aspetto, si perde una delle componenti che potrebbe dare maggiore piacere, se vogliamo puramente edonistico.

Sto scrivendo alcune banalità forse. Ne aggiungo altre in ordine sparso, prendendo spunto dagli ultimi vini stappati.

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Fino a che non riuscirà a produrre vini che non solo reggano gli anni ma, anzi, siano pensati per acquisire maggiore complessità nell’evoluzione, il Friuli Venezia Giulia non potrà essere considerata una regione fondamentale nel mappamondo enologico. Tralasciamo la Borgogna, l’Alsazia, il Reno o la Mosella che, tradizionalmente ci hanno regalato vini capaci di invecchiare bene. L’Austria si sta imponendo, negli ultimi 15-20 anni, come il riferimento per i vini indirizzati all’alta ristorazione e ai collezionisti o appassionati. Un target ben preciso conseguente ad un posizionamento ben preciso. Se il FVG fa la gara con il Veneto a chi pianta più barbatelle di glera (fino a pochi anni fa era il pinot grigio, in futuro magari sarà il moscato…), perde di vista l’unico possibile mercato per i propri vini e per la propria affermazione come zona di riferimento. O si acquisisce status e conseguente livello di prezzo, oppure si sarà sempre al traino delle mode e non si trasferirà al consumatore quel senso estetico di cui scrivevo sopra.

Altra banalità: Clos Vougeot è un Grand Cru scandaloso, che andrebbe diviso in almeno 3 o 4 parti, declassandone quella più grande a 1er Cru se non a Village! Inoltre il 1998 è un’annata che non mi ha ancora regalato, nel pinot nero di Borgogna, una bottiglia che fosse veramente piacevole. Tra le annate considerate “minori” mi stappo la 2000 tutta la vita!

Finisco con una non banalità: lo Schioppettino è un grandissimo vitigno sul quale il Friuli dovrebbe investire ulteriormente: pochi ne hanno ancora compreso le potenzialità di invecchiamento, di eleganza e finezza. Se fosse un vitigno francese, sarebbe oggi popolare quanto il pinot nero e faremmo a gara a piantarlo. Ce l’abbiamo in casa, stiamo riuscendo a banalizzare anche questo, spumantizzandolo o appassendolo come una corvina qualsiasi. Ma c’è chi tiene duro da decenni con costanza e lungimiranza spesso inascoltate (Ronchi di Cialla) e chi lo sta mettendo al centro delle strategie di crescita aziendali e di territorio (i produttori dello Schioppettino di Prepotto).

Alcuni tabù nel mondo del vino

Siamo ormai a fine estate, si rientra man mano al lavoro, le vendemmie stanno incominciando, quindi anch’io butto giù un post che vuole essere più leggero, anche se gli argomenti meriterebbero molte riflessioni.

Il tema è quello dei tanti tabù che girano attorno al mondo del vino, sia tra gli addetti ai lavori che tra i consumatori. Non mi riferisco a temi “alti”, bensì ad argomenti più quotidiani, spesso relegati a discussioni amichevoli, ma che possono avere un significato tutt’altro che trascurabile.

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Turismo del vino: anche a Bordeaux qualcosa si muove

Gli stranieri (e soprattutto noi italiani) hanno sempre guardato alla Francia come l’esempio che tutti vorrebbero seguire o raggiungere in campo vinicolo. Per decenni i vini ed i produttori francesi sono stati considerati come un benchmark assoluto, Sopexa come l’Ente di promozione che tutti vorrebbero avere, le loro DOC e le Interprofessioni come strutture da copiare. Eppure pare non essere tutto oro quello che luccica!

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Impressioni londinesi

Tea at Fortnum&Mason

Prima di affrontare il tema della London International Wine Fair, voglio condividere qualche impressione che ho portato con me da Londra. Non parlo della città in quanto tale, ma di alcuni messaggi, importanti anche per il mondo vinicolo (ma non solo) che credo di avere colto.

Innanzitutto l’ampia diffusione del vino, sia nei supermercati (anche nei piccoli take away) che nei pub, con tanto di cartelloni pubblicitari all’ingresso che invitano a provare, ad es., la nuova offerta di rosé (alla faccia di chi dice che il rosé non si vende…). E il vino italiano è sempre rappresentato… anche se spesso è tra i più “cheap” e viene identificato in modo anonimo (vedi “a refreshing pinot grigio from Nothern Italy”), mentre per vini di altre zone vengono indicati i brand.

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La frequenza di consumo del vino

Il Gruppo S.Margherita (il cui direttore marketing, Lorenzo Biscontin, abbiamo ospitato ieri come testimone nell’aula Executive Master in Wine Business) ha recentemente commissionato un sondaggio (cfr. Winenews) sulle abitudini di consumo del vino, sui criteri di scelta e i percorsi di acquisto che ne derivano.

Da esso emerge come 2/3 degli italiani (75,7%) consumino vino. La metà tutti i giorni o quasi, prevalentemente in casa (il 58,7%), con maggiore peso per le fasce di età più avanzate. L’altra metà, invece, consuma vino alcuni giorni la settimana o più raramente.

Il consumo domestico conta per quasi il 60% ed avviene prevalentemente durante i pasti, mentre l’incremento fuori casa è dovuto prevalentemente alla fascia più giovane dei consumatori.

Mi colpisce il dato sul numero dei consumatori abituali, credevo fosse più basso.

Certo, è un sondaggio e dipende molto dal campione. Se ad. es. facciamo un confronto con la Francia (Onivins, 2005), possiamo vedere come in 25 anni il numero di consumatori giornalieri o comunque regolari sia diminuito di molto, a favore di un consumo più occasionale (e di una fetta di consumatori, pari al 38%, che non bevono proprio!).

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Quali saranno gli abbinamenti cibo-vino dei consumatori di domani?

Prendendo spunto da un editoriale pubblicato da Matteo Marenghi su Infowine, relativo al consumo di soft-drink e alla progressiva presenza anche sulle tavole, negli abbinamenti col cibo anche a scapito del vino, allego un grafico relativo a come sia distribuito (Onivins 2002) il consumo di bevande in Francia, il Paese forse a noi più simile. Credo possa fungere da spunto di riflessione.

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A Barcellona, un po’ di vino e tapas tra master e manager

Questa settimana sono a Barcellona. Infatti sto accompagnando al posto d un collega l’aula Executive MBA 6a edizione, corso che svolgiamo a Roma. La sede delle lezioni è una delle top business school spagnole, EADA.

Con EADA abbiamo in passato realizzato degli study tour anche per il Master in Wine Business. Sebbene loro non realizzino programmi formativi per il settore vinicolo, svolgono in aula alcuni casi ad esso legati ed hanno rapporti con molte aziende del settore, qua nel Penedès. Giovedì 8, infatti, andremo a visitare una bella azienda produttrice di Cava, Vallformosa, considerata la più piccola delle grandi (tra cui le più celebri sono Freixenet e Codorniu) o la più grande tra le piccole (e il bello sta proprio qua: devono crescere e internazionalizzarsi? E come? E devono passare da azienda family-business a manageriale?).

Ne ho approfittato non solo per dedicarmi alle ottime tapas (che ogni tanti provo a riproporre a casa per amici) ma anche per visitare una piccola ma graziosa enoteca qua vicino, appartenente alla catena La Carte des Vins. Un centinaio di etichette, ma tutte di livello. La titolare, Adela, è simpatica e preparata nei consigli.

Così ho acquistato 3 bottiglie (che mi industrierò per come portarle a casa sane nel bagaglio imbarcato), tra cui un nuovo vino fatto nel Priorato da Ester Nin, l’enologa dell’ormai celeberrimo Clos Erasmus (il cui 2004 e credo anche 2005 hanno preso 100/100 da Robert Parker… con conseguente esplosione dei prezzi!).

Il Priorato è una delle grandi zone vinicole del Mediterraneo, in cui si producono rossi concentrati, spesso imponenti, ma di grande fascino. In particolare amo quelli di René Barbier (che ho visitato 2 anni fa con alcuni studenti del Master in Wine Business), vero motore della zona assieme ad Alvaro Palàcios che è l’uomo che ha saputo ottenere per primo visibilità internazionale.

Vedremo se questo Clos Abella, prodotto secondo una viticoltura biodinamica e le cui etichette sono disegnate dal pittore catalano Josep Guinovart, sarà all’altezza della fama. Il prezzo? 24€, viste le cifre raggiunte da altri nomi (l’Ermita di Alvaro Palàcios è quotato sui 450€, lo stesso Clos Erasmus sui 120-150€), pare quasi “economico”…