Perché sarebbe un problema ridurre l’alcool nei vini?

Ritorno sul tema dei vini a basso o zero contenuto alcolico che è stato oggetto del mio precedente post per qualche ulteriore considerazione, visto che la materia è in pieno fermento (termine più appropriato non esiste!).


Vediamo apparentemente scontrarsi una posizione ideologica maggioritaria (“non cederemo mai a vedere annacquare il vino!”) con una posizione mercantile minoritaria (“perché lasciare questo segmento di mercato ad altri?”). Tuttavia, al tavolo secondo me siedono anche altri giocatori che in questa discussione non vengono considerati: chi ha una posizione neutrale e, soprattutto, il consumatore.

Non ci sono più dubbi che grandi operatori del settore abbiamo scelto di investire pesantemente in questo segmento, come prova anche Casella Wines, produttori del famoso marchio [Yellow Tail], che ha da poco lanciato la linea Yellow Tail Pure Bright, oggi distribuita in diversi paesi, come potete leggere nelle news di Unione Italiana Vini.

Pure Bright è il più grande lancio commerciale e promozionale di [Yellow Tail] degli ultimi anni e si basa su un’ampia ricerca sui consumatori sull’occasione e sui messaggi del marchio per garantire che il vino mantenesse un valore emotivo con il brand oltre il semplice consumo di calorie e carboidrati inferiori.

Per la cronaca, Pure Bright è disponibile in tre varietà:

Chardonnay: Light and refreshing taste, with fresh peach and melon flavors and a hint of vanilla. Per 5fl.oz.: Calories 85, Carbohydrates 1.1g, ABV 9.6% (compared to 120 calories, ABV 13%, for [ yellow tail ] base Chardonnay)
Pinot Grigio: Light and refreshing taste, bursting with apple, pear, and passionfruit flavors. Per 5fl.oz.: Calories 80, Carbohydrates 1.5g, ABV 8.5% (compared to 107 calories, ABV 11.5% for [ yellow tail ] base Pinot Grigio)
Sauvignon Blanc: Light and refreshing taste, bursting with zingy passionfruit and grapefruit flavors. Per 5fl.oz.: Calories 80, Carbohydrates 0.6g, ABV 8.5% (compared to 107 calories, ABV 11.5% for [ yellow tail ] base Sauvignon Blanc)

Come leggete sopra, il tema delle calorie è un punto chiave della loro comunicazione. L’alcool non solo fa male (se in eccesso), ma è comunque una componente che deve essere gestita con parsimonia all’interno di una dieta, soprattutto se vogliamo praticare uno stile di vita improntato sul “wellness”, come in molti consumatori.

Vedremo se questo ed altri vini analoghi avranno il successo che molti predicono per la categoria. Quello che ritengo sia importante è, come sostiene anche UIV, di mantenere anche nell’Unione Europea la discussione e la legislazione all’interno del contesto del vino, per non regalare questo segmento e quello dei prodotti dealcolati all’industria del beverage.

Da un lato per un maggiore controllo e per non risultare puri fornitori di materia prima indifferenziata, a basso prezzo, da dealcolare, dall’altro per poter sviluppare nuovi segmenti di mercato e offrire risposta ai bisogni emergenti di diversi consumatori che vorrebbero rivolgersi al vino, ma che il vino non può (o non vuole) ascoltare.

Se il Nuovo Mondo si muove e produce decenti vini commerciali ad un livello inferiore di alcool, investendo non solo nel marketing ma anche in una filiera produttiva che inizia dalla fase agronomica (varietà meno produttrici di zuccheri, portainnesti adeguati, gestione della chioma etc.), penso dovrebbe essere da stimolo anche per la vecchia Europa, che non può stare seduta a guardare. Ricordiamo che i disciplinari DOC prevedono generalmente una gradazione minima che può essere derogata solo in casi specifici.

Alla luce dell’impatto dei riscaldamento globale, è innegabile che in molti vini il grado alcolico si sia innalzato negli ultimi 30 anni, con un numero crescente di consumatori che iniziano a porsi il problema dell’alcolicità per diversi motivi (sensibilità, pesantezza nella beva, maggiori calorie, paura dei test se guidano…). Una tendenza alla moderazione nel grado alcolico del vino, che vede già premiare in molti mercati tipologie ed etichette di più facile accessibilità, potrebbe spingere anche i vini DOC/DOCG più strutturati a trovare una soluzione (che non è l’aggiunta di acqua al mosto) per ovviare alla loro ormai affermata potenza, recuperando quella freschezza e bevibilità che in tanti casi manca.

Ma quello dei vini a DOC dealcolati è un falso problema! Saranno infatti i vini senza indicazione geografica o, al massimo, gli IGT a doveri confrontare con queste emergenti categorie. Come nel caso di Casella, i vini a ridotto contenuto alcolico competono nella categoria dei varietali ed è sui varietali stessi (se ne manterranno le caratteristiche) che baseranno la loro riconoscibilità come vino. Un consumatore che si trova davanti all’alternativa, nella scelta sarà influenzato da alcune variabili che possono andare dall’occasione di consumo allo stile di vita o alle preferenze personali. In alcuni casi la chiave principale saranno il contenuto alcolico o le calorie e poi la scelta cadrà su un varietale e brand rispetto a un altro; in altri prima il varietale e poi il resto. Ma queste due nuove opzioni (minor livello di alcol e calorie) potranno influenzare un segmento non proprio irrilevante.

Poi c’è il discorso dei vini a zero alcol. Se, da un lato, il gusto sarà uno dei fattori imprescindibili per distinguere una bevanda da un “vino”, qualora sia superato anche qui il varietale avrà un suo peso. Chi vorrà un vino a zero alcol penserà ancora di bere un vino e, quindi, lo percepirà come un vino “tradizionale”, come chi opta per una birra analcolica pensa di scegliere una birra e non una bevanda luppolata.

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