Sembra che, a breve, si inaspriranno nuovamente le misure del Governo in merito al contenimento della pandemia. Come è ben noto, la ristorazione chiude già alle 18, con l’eccezione di quella alberghiera che, tuttavia, deve fare i conti con un turismo ridotto all’osso. Ne consegue che, cenando a casa senza aver potuto fare prima un giro di aperitivi, chi vuole bere vino deve comprarselo in enoteca o supermercato, o farselo consegnare, con un’ulteriore spostamento dei volumi dal canale Horeca a quello dell’asporto o e-commerce. Ma, rispetto a qualche mese fa, c’è stata un’evoluzione dell’offerta e come il food delivery potrebbe portare a ulteriori cambiamenti per il vino?
Nel mio precedente post di tempo fa (Effetti del lockdown) scrivevo che “il COVID-19 dovrebbe aver insegnato a tutti che la richiesta del mercato attuale è per avere un servizio che effettui consegne con qualità. Seguendo quanto successo nella ristorazione, sono le aziende vinicole e il loro sito e-commerce, così come le enoteche con un punto vendita fisico o virtuale non così funzionale a doversi adattare.”
In questi mesi ho notato diverse aziende approcciare la vendita diretta tramite sito di proprietà, nonché sorgere nuovi portali. In pratica, il cliente fidelizzato al marchio o che vede le inserzioni sponsorizzate sui canali social (alcune delle quali mi hanno fatto storcere il naso, per la poco corretta gestione di brand affermati) viene indirizzato nello shop e può così acquistare alcune bottiglie, in qualche caso con prezzi competitivi. Oppure si può rivolgere ai portali multimarca, i vari Vino75, Callmywine o Tannico, che però hanno denotato qualche passaggio a vuoto nei tempi di consegna, a fronte di un’indubbia crescita dell’offerta e della movimentazione. Quando le bottiglie arrivano, il cliente si attrezza per il loro stoccaggio, stappandole all’occorrenza, spesso in abbinamento con il cibo o, addirittura, preparando il cibo giusto per quel vino.

Il food delivery sta facendo sorgere nuove tipologie di locali, a dimostrazione che il mondo della ristorazione è molto sensibile all’innovazione e all’adattamento. Da un lato abbiamo ristoranti tradizionali che hanno saputo adattare i propri piatti, le cotture e i contenitori utilizzati, al fine di farli giungere sulla tavola domestica dei propri clienti nel modo migliore. Da un altro, è previsto addirittura un vero e proprio assemblaggio a cura del cliente, con istruzioni e video, come quanto realizzato da cuochi e professionisti conosciuti come Giuseppe Iannotti di Kresios a Telese Terme, Cristiano Tomei dell’Imbuto a Lucca o, nel mondo dei lievitati, Simone Padoan della pizzeria I Tigli di San Bonifacio.
Ma l’ultima realtà ad emergere è quella dei ristoranti completamente specializzati nel delivery, le c.d. “ghost kitchen”, laboratori di cucina senza sala e coperti, che vendono attraverso APP e sito e-commerce, canale con possibilità di sviluppo tutt’altro che banali (“il mercato globale dei pasti a domicilio è valutato 35 miliardi di dollari con una crescita annua del 20% che lo porterebbe alla cifra stratosferica di 365 miliardi entro il 2030”).
Il ragionamento che vorrei fare concerne un bisogno nuovo, che sorge proprio con l’affermarsi del food delivery. Il lockdown e/o il lavoro da casa possono portare a non muoversi dall’abitazione anche per giorni, salvo brevi spostamenti. Non necessariamente si ha un’enoteca o un punto vendita qualificato vicino a casa. Tuttavia si vuole usufruire della consegna a casa di cibo, magari preparato da uno dei nostri ristoranti preferiti, al quale vogliamo abbinare qualche vino specifico. Potrebbe essere una ricorrenza o semplicemente si vuole indulgere in una serata piacevole, per ritemprarsi dall’ansia provocata dalla pandemia. Vogliamo un vino, quel vino, lo vogliamo ora.
La nicchia di wine delivery “just in time” è quella più critica: l’enoteca che consegna a casa potrebbe essere chiusa, i portali o le aziende ci mettono giorni. E quindi? Che spazio e quale business model serve per sviluppare un servizio congiunto che permetta a chi ordina il cibo di scegliere anche il vino o la bevanda che vuole abbinare (vale anche per la birra, gli spirits o i cocktail)? Penso ad un integratore che consenta, partendo dal bisogno di bere o dal mangiare, di offrire diverse esperienze (cucine, tipologie) e opportunità (anche di prezzo), offrendo una soluzione e una consegna congiunta.
Da qualche tempo è attivo il servizio di Winelivery, una APP creata da una start-up che sta investendo in una campagna di comunicazione molto presente su diversi media, che ha come Unique Selling Proposition: “Da te, direttamente dal produttore, in 30 minuti a temperatura di servizio”. Non l’ho ancora testata ma credo ciò avverrà a breve perché mi ha incuriosito. Potrebbe essere una prima soluzione, sebbene (ancora) non integrata col food delivery?