Stappature estive e conseguenti riflessioni

Riprendo dopo ormai un anno a scrivere sul blog. Non che mancassero gli argomenti, ma il tempo e la freschezza mentale per affrontarli. E poi ci sono Twitter e Facebook ove si è sicuramente più immediati.
E riprendo partendo da un argomento che ho trattato poche volte, ossia alcune sensazioni ed alcune riflessioni che seguono lo stappare ed il condividere bottiglie di vino con amici.

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La prima riguarda le bottiglie “prestigiose” e l’uso che spesso i consumatori ne fanno. In molte occasioni mi è capitato di condividere alcuni “grandi vini” o presunti tali. Allo stesso modo mi è stato raccontato di degustazioni in cui il celeberrimo vino X era stato “sconfitto” da altri, magari molto meno costosi. Il maggiore influsso, a mio vedere, che Robert Parker ha avuto sui suoi lettori (intesi come consumatori finali, non produttori) è quello di aver semplificato molto l’approccio al vino, qualcuno dice “democratizzato”, ovvero tutti possono, utilizzando una scala numerica, mettere a confronto bottiglie. Anzi, se ne sentono quasi in dovere. Eppure alcuni vini (non tutti!!) sono diventati famosi e costosi indipendentemente dal punteggio e fanno della regolarità (da decenni) il loro punto di forza, non cercano l’exploit fine a se stesso.

In realtà, il modo giusto per stappare vini “prestigiosi” dovrebbe prevedere, a mio parere, che queste bottiglie siano al centro dell’attenzione, se no si perde un po’ di quell’aurea mistica che tali bottiglie portano dietro. Non si tratta solo di rispetto per i produttori, che deve esserci sempre, che si tratti di un vino prodotto da una cantina sociale o da un famoso Chateau. Si tratta di godere appieno del lato estetico di una bottiglia prestigiosa, quel senso di appagamento e di autorealizzazione di se’ che sta in cima alla Piramide di Maslow. Una semplice degustazione alla cieca di tanti vini spesso fa trascurare questo aspetto, si perde una delle componenti che potrebbe dare maggiore piacere, se vogliamo puramente edonistico.

Sto scrivendo alcune banalità forse. Ne aggiungo altre in ordine sparso, prendendo spunto dagli ultimi vini stappati.

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Fino a che non riuscirà a produrre vini che non solo reggano gli anni ma, anzi, siano pensati per acquisire maggiore complessità nell’evoluzione, il Friuli Venezia Giulia non potrà essere considerata una regione fondamentale nel mappamondo enologico. Tralasciamo la Borgogna, l’Alsazia, il Reno o la Mosella che, tradizionalmente ci hanno regalato vini capaci di invecchiare bene. L’Austria si sta imponendo, negli ultimi 15-20 anni, come il riferimento per i vini indirizzati all’alta ristorazione e ai collezionisti o appassionati. Un target ben preciso conseguente ad un posizionamento ben preciso. Se il FVG fa la gara con il Veneto a chi pianta più barbatelle di glera (fino a pochi anni fa era il pinot grigio, in futuro magari sarà il moscato…), perde di vista l’unico possibile mercato per i propri vini e per la propria affermazione come zona di riferimento. O si acquisisce status e conseguente livello di prezzo, oppure si sarà sempre al traino delle mode e non si trasferirà al consumatore quel senso estetico di cui scrivevo sopra.

Altra banalità: Clos Vougeot è un Grand Cru scandaloso, che andrebbe diviso in almeno 3 o 4 parti, declassandone quella più grande a 1er Cru se non a Village! Inoltre il 1998 è un’annata che non mi ha ancora regalato, nel pinot nero di Borgogna, una bottiglia che fosse veramente piacevole. Tra le annate considerate “minori” mi stappo la 2000 tutta la vita!

Finisco con una non banalità: lo Schioppettino è un grandissimo vitigno sul quale il Friuli dovrebbe investire ulteriormente: pochi ne hanno ancora compreso le potenzialità di invecchiamento, di eleganza e finezza. Se fosse un vitigno francese, sarebbe oggi popolare quanto il pinot nero e faremmo a gara a piantarlo. Ce l’abbiamo in casa, stiamo riuscendo a banalizzare anche questo, spumantizzandolo o appassendolo come una corvina qualsiasi. Ma c’è chi tiene duro da decenni con costanza e lungimiranza spesso inascoltate (Ronchi di Cialla) e chi lo sta mettendo al centro delle strategie di crescita aziendali e di territorio (i produttori dello Schioppettino di Prepotto).