E sei il vino si polarizza?

Capita che amici o conoscenti mi chiedano come mai, a mio parere, quando devono acquistare un vino, si trovino sempre più spesso di fronte a una forte polarizzazione dell’offerta. Da un lato la scelta delle bottiglie è focalizzata su marchi conosciuti nazionalmente (che si tratti di Antinori, Ruffino, Ferrari, Mionetto, Villa Sandi, Frescobaldi, Donnafugata o altri), al caso affiancati da etichette “sicure” regionali e locali. Dall’altro, carte dei vini (con una fetta crescente della ristorazione di “fine dining”) ed enoteche che scelgono di focalizzarsi su produttori molto schierati verso una produzione artigianale, alle volte anche in modo “hard”.

È solo questione, nel primo caso, di potenza commerciale e investimenti promozionali o, viceversa, di assecondare mode e ricerca spinta dell’individualismo?

Una ricerca presentata a Vinitaly nel 2018 sui consumatori nazionali sottolineava come solo il 25% degli italiani sa riconoscere le principali zone di produzione vinicole e collegarle alle regioni geografiche. Questa percentuale è molto minore all’estero, soprattutto in quei paesi dove il vino non è una bevanda abituale e parte di una cultura alimentare sedimentata. Pochi wine drinker sanno riconoscere più di tre zone vinicole in Australia, ad esempio.

Ciò significa che i consumatori, quando vogliono acquistare una bottiglia, ma anche un calice di vino, se non trovano qualcosa di conosciuto e che a loro piace, vogliono evitare di trovarsi in una situazione di disagio. Il segmento dei consumatori che ricercano spesso novità, infatti, é importante ma, comunque, molto minoritario rispetto agli altri. Spesso, questa continua ricerca porta con se’ un consumo poco focalizzato (basta che sia “nuovo”) e, di conseguenza, una scarsa fedeltà alla marca e ai territori (da qui una riconoscibilità in calo).

A differenza di una lattina di birra o un vasetto di yogurt il vino spesso non viene bevuto dal solo acquirente ma spesso la bottiglia viene condivisa con altre persone, in una situazione famigliare o sociale. Quindi, può succedere di trovarsi in imbarazzo nello scegliere qualcosa che gli altri possono non apprezzare. Si parla, infatti, di avversione al rischio, anche se il costo da sostenere é relativamente basso. Un brand conosciuto, infatti, abbassa la percezione del rischio, così come l’appartenenza a una nicchia dove il consumatore si riconosce, alle volte quasi ideologicamente (es. “non bevo vini convenzionali”).

Tenendo questo a mente, le cantine non devono dare per scontato che i consumatori conoscano tutto della loro storia, dei vitigni, delle DOC, le tecniche di produzione o gli abbinamenti con il cibo. Ma questo spesso ancora non avviene!

Se vogliamo parlare ai consumatori che amano il vino ma non sono depositari di particolari conoscenze o frequentatori di ipernicchie, dobbiamo in qualche modo avere una proposta unica di vendita che faccia leva su un linguaggio semplice, comprensibile e accattivante, coerente con la nostra identità, da declinare nei diversi strumenti di comunicazione fino all’accoglienza in cantina.

Viceversa le persone sceglieranno sulla base di alcuni fattori molto ben specifici che semplificano il loro processo di acquisto: il prezzo (e le promozioni), il brand famoso o reputato, l’occasione d’uso oppure semplicemente la categoria, dove questa può essere il Prosecco (o lo Spritz), il rosé o lo stesso vino “naturale”.

E tutti gli altri?

Under the Tuscan brand

Quale regione vinicola italiana ha il brand più forte, soprattutto all’estero? Ovviamente la Toscana, che negli ultimi 30 anni ha saputo capitalizzare il legame tra vino, cucina, arte, paesaggio e turismo in senso ampio. Vista dal di fuori, sembra il Paese del Bengodi: per avere riconoscibilità e successo basterebbe avere una vigna di sangiovese e/o di cabernet, qualche ulivo, un viale di cipressi che porta al rustico in pietra e mattoni. Tuttavia, vista da dentro, non è sempre così.

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Più marketing o più vendite?

Le parole Vendite e Marketing sono spesso usate erroneamente in modo intercambiabile per descrivere attività collegate ma diverse. Non si tratta solo di una questione semantica, in quanto tale confusione influisce sull’efficienza e talvolta anche sull’efficacia di entrambe le attività.

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Sex-appeal anche per il menù

Il vino nella ristorazione è in crisi? Come si possono convincere i clienti ad ordinare più vino o a scegliere bottiglie più care, invece del rassicurante quartino di “vino della casa”? Ci sono tecniche, utilizzate nel mass-marketing o in altri settori che possono essere riprese nel canale della ristorazione per migliorare le performance di vendita del cibo e, di conseguenza, anche del vino?

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Il rapporto tra packaging e comunicazione

Nonostante la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, che in questo momento economico sta frenando anche i consumi di vino, negli ultimi anni le vendite in supermercati e ipermercati, sono aumentate, soprattutto nel segmento delle bottiglie da 0,75 litri.

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Un nuovo marketing del vino

Il vino è fatto di sogni, di emozioni di sensazioni e le aziende italiane sono sicuramente molto attente a creare eventi, qualcuna ad investire sul trade, a gestire l’accoglienza, a creare ambienti (si pensi agli enormi investimenti in cantina compiuti negli ultimi anni, spesso in collaborazione con architetti di prestigio).

A volte, però, tali strumenti non sono coordinati, sono frazionati, concentrati su alcune azioni o non valorizzati al meglio. Viste la ridotte dimensioni aziendali medie, i budget limitati impediscono la realizzazione di altre iniziative, così gli sforzi per creare un sogno si vanificano o quantomeno si riducono.

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Perchè orientarsi al marketing

Per decenni la parola “marketing” ha assunto, nel mondo del vino, un’accezione negativa. Il vignaiolo italiano, tutto concentrato sul prodotto, al fine di raggiungere picchi qualitativi sempre più elevati, ha sempre parlato di “marketing” con sufficienza, riferendosi prevalentemente ad aziende che vendevano più bottiglie di lui e a prezzo più alto. I francesi erano sempre additati come esempio, almeno nel sentire comune.

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That’s marketing!

Passeggiando tra gli stand della London International Wine Fair, ho incontrato Alberto Buratto, direttore di una delle più belle aziende vinicole siciliane (Baglio di Pianetto, del conte Paolo Marzotto) e diplomato con merito nella II edizione del Master in Wine Business del MIB.

Nel commentare l’attuale situazione vinicola e la concorrenza per entrare sui mercati esteri, Alberto mi ha raccontato una storia incredibile che lo ha visto professionalmente coinvolto.

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Tra gli stand della LIWF

Approfittando della partecipazione al seminario già descritto, ho fatto un giretto tra gli stand della London International Wine Fair, ospitata presso l’ExCel. 

Innanzitutto un complimento alla location. Si raggiunge comodamente con la metropolitana veloce (Docklands Light Railway), scendendo a fianco ai padiglioni della Fiera (per chi è in auto sono previsti molti parcheggi coperti).

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