È la globalizzazione, bellezza

Su Linkedin ho trovato, riportato dall’amico e collega Rodrigo Lanari (che è stato intervistato), un articolo molto interessante su come alcuni brand vinicoli globali si stiano muovendo per conquistare o per rientrare in mercati dove fattori esterni (politici o economici) hanno variato sensibilmente la loro competitività.

In prarica, per aggirare gli alti dazi (219%) imposti da un paio di anni dal governo cinese sui vini australiani, Casella Family stringe una partnership con la cantina cilena Santa Carolina, iniziando a produrre l’etichetta [Yellow Tail] in Cile. [Yellow Tail] è stata considerata da Wine Intelligence come il marchio vinicolo più forte al mondo (non il più prestigioso, intendiamoci, ma quello che ha più potere sui consumatori globali). Ciò le consente riprendere in mano il mercato senza quasi che i consumatori se ne accorgano. Ma non basta: quella cilena sembra essere solo la prima esperienza, in quanto rientra nella creazione di una più ampia linea chiamata [Yellow Tail World Series], come scrive anche Natalie Wang su Vino Joy News.

La mossa si rivela strategica per accaparrarsi una fetta della rivale Penfolds nel mercato cinese. Mentre la Cina rappresentava solo il 3% del fatturato della famiglia Casella e di [Yellow Tail] nel 2021, per il concorrente Penfolds (marchio australiano del gruppo TWE – Treasure Wine Estates), il mercato cinese ha rappresentato lo scorso anno il 25% del fatturato e quest’anno il risultato è stato mediocre.
Tuttavia, la soluzione di Penfolds è stata quella di dirigersi in Sud Africa, dove hanno iniziato a produrre la linea Rawson’s Retreat, realizzata con uve sudafricane e in vendita esclusiva per la Cina. Penfolds ha, inoltre, in progetto di aprire un’azienda vinicola in Cina e produrre tutto localmente.

Parallelamente, la californiana Barefoot ha anch’essa iniziato a imbottigliare vino cileno per rivolgersi in primis al mercato sudamericano, a iniziare da quello in crescita del Brasile. Il nome Barefeoot viene prima della questione dell’essere californiano o cileno.

Potere della globalizzazione o del brand?

Come passa il tempo…

Sono sempre più convinto, osservando cosa si serve nei bar e cosa bevono gli avventori, che una parte notevole del consumo di vino, almeno in volume, sia dovuta allo Spritz. Anzi, che Aperol & c. debbano essere considerati, in questo momento storico, i migliori amici di molti produttori di vino (sebbene questi ultimi non lo ammetteranno mai!).

Eppure nemmeno 20 anni fa Aperol era un prodotto finito…

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Vino e territorio

Prendendo spunto da un post di Lizzy Tosi su Facebook, faccio una breve riflessione: è il territorio che vende il vino o è il vino che vende il territorio?

Secondo Larry Lockshin ed altri, l’origine di un vino fa parte delle caratteristiche estrinseche del prodotto (assieme al brand, al packaging,…). Ogni attributo del prodotto assume una diversa importanza, a seconda del consumatore, nel processo di scelta e di acquisto.

Dobbiamo quindi chiederci: quand’è che il territorio (e quindi il turismo che lo fa conoscere) diventa rilevante nella scelta?

Se, da un lato, un vino ha bisogno di un territorio per essere venduto, allora meglio investire sul turismo che sulla promozione del vino tout court. Territorio = soggetto; Vino = complemento.

Se invece è il vino a vendere un territorio, serve che il vino abbia un’identità ben definita, che incuriosisca chi lo degusta a tal punto da voler intraprendere un viaggio alla scoperta dell’origine.

Ma è anche vero che più si specifica un territorio (fino al concetto di vigna o cru) e più ci si rivolge ad un pubblico ristretto, di appassionati. Alcuni studi dimostrano che tanto più è piccola la zona di origine di un prodotto (ad es. alimentare) e tanto maggiore sarà l’aspettativa di qualità e, quindi, anche di prezzo.

Se un prodotto, così, entra nell’immaginario, crea interesse, coinvolgimento, assume valori simbolici e li fa assumere a chi lo acquista o lo consuma, fino ad arrivare ad un valore edonistico ed emozionale.

Forse non c’è una dimensione territoriale minima o massima. Spesso, anzi, è più il Paese d’origine a vendere e non il territorio di produzione. Il Paese (o, in alcuni casi, la Regione, tipo Bordeaux o Champagne) generalmente funge da garanzia, minimizzando il “rischio” nella scelta. Più il consumatore è informato e più cerca di andare in profondità e scoprire la relazione tra il prodotto e il suo ambiente.

Ma la combinazione migliore si ottiene quando prodotto (e azienda) e luogo di origine vanno a braccetto. Se infatti, come è stato dimostrato dai ricercatori, il luogo di origine contribuisce alla creazione di autenticità, di immagine e di lealtà nei confronti di un marchio, la Regione di origine è un potente strumento per creare un marchio con un vantaggio competitivo sostenibile ed un valore aggiunto che garantisce e giustifica un prezzo più alto.

Ma, appunto, funziona quando il vino ha già un’immagine ed un appeal presso il consumatore. Non conosco esempi di successo quando la relazione è inversa. In tal caso, si può “vendere” vino, sfruttando altri driver, ma tale vino non raggiungerà mai una notorietà, soprattutto di marchio, che lo difenderà dalla concorrenza e lo farà uscire dalla sua “località”.

Un nuovo marketing del vino

Il vino è fatto di sogni, di emozioni di sensazioni e le aziende italiane sono sicuramente molto attente a creare eventi, qualcuna ad investire sul trade, a gestire l’accoglienza, a creare ambienti (si pensi agli enormi investimenti in cantina compiuti negli ultimi anni, spesso in collaborazione con architetti di prestigio).

A volte, però, tali strumenti non sono coordinati, sono frazionati, concentrati su alcune azioni o non valorizzati al meglio. Viste la ridotte dimensioni aziendali medie, i budget limitati impediscono la realizzazione di altre iniziative, così gli sforzi per creare un sogno si vanificano o quantomeno si riducono.

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Le potenzialità di sviluppo per i vini a DOC Friuli Grave

Giovedì 12 alle ore 17 a Pordenone (palazzo Mantica) sarò uno dei relatori durante la presentazione dei risultati di uno studio, compiuto in collaborazione con la società inglese Wine Intelligence, sul valore della DOC Friuli Grave per i consumatori inglesi e tedeschi.

Gli obiettivi dello studio sono: Continua a leggere “Le potenzialità di sviluppo per i vini a DOC Friuli Grave”

Piccole aziende, nuovi territori, nicchie: riflessioni da oltreconfine

Domenica 11 sono stato nella splendida cornice del castello di Zemono, ex magione dei goriziani conti Lanteri (che ospita anche uno dei migliori ristoranti della Slovenia, la Gostilna Pri Lojzetu di cui scrive anche il numero di maggio ’08 del Gambero Rosso), in occasione della fiera dei Sapori della Valle del Vipacco (Vipavska Dolina).

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